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Lettera aperta del Presidente

10 Aprile 2020

Il Covid-19 è entrato nelle nostre vite tra novembre e dicembre 2019, quando da una città, Wuhan, in Cina, ci arrivarono notizie di contagi crescenti e mortalità elevata dovuta a questo nuovo virus, pare, di origine animale. Allora sembrava tutto molto lontano e tutti ci saremmo aspettati che rimanesse circoscritto in quella zona o che almeno arrivasse in Europa con tempi molto lunghi, invece dopo soli tre mesi si è dichiarata la pandemia globale; tutti gli Stati sono entrati in un clima di panico e l’Italia divenne il primo Paese dell’Occidente a dichiarare il lockdown. Io, classe 1971, non ricordo altre pandemie se non l’AIDS tra fine anni ‘80 e anni ‘90, l’aviaria a cavallo tra fine anni ‘90 e i primi del 2000 e la febbre suina tra il 2009 e il 2010. Queste pandemie, seppur molto diverse tra loro, erano legate da un comun denominatore: per potersi tutelare (almeno qui in Italia dove non ci fu mai il ceppo iniziale di contagio) bisognava stare attenti a non fare alcune cose, come se il virus abitasse in un determinato luogo da evitare attentamente. Quindi per più di qualcuno, forse troppo sempliciotto e non conoscitore di pratiche mediche, il motto sui contagiati era: “Se l’è cercata, lo sanno tutti che non bisogna fare questo o quello”. Da quando ne ho memoria e coscienza ricordo una serie di crisi economiche italiane, con una frequenza di uno o due lustri, a cui si sommavano quelle europee o mondiali. Mani pulite, anche nota come tangentopoli, a metà anni ‘90, che debellò un insano sistema di tangenti, lasciò la testa dell’Italia decapitata di ruoli fondamentali della politica ed economia con l’ovvia conseguenza di una crisi di lavoro generazionale. L’attentato alle Torri Gemelle nel 2001 causò una crisi internazionale con ovvi impatti sull’economia di tutto il mondo. L’entrata nell’Euro nel 2002 portò un periodo di inflazione per la lentezza degli adeguamenti dei salari al costo della vita, che risentì sia dei prezzi europei (dettati dalla Germania) sia dai mancati controlli sui prezzi durante il passaggio di moneta. Pochi anni dopo e solo con un anno di ritardo rispetto agli USA, nacque, nel settennio 2009-2015, la crisi economica derivata dai mutui subprime e il crollo della bolla speculativa finanziaria creata per aumentare le ricchezze virtuali e coprire un aumento di produttività avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale. In questo momento, diversamente da ciò che è successo in passato, stiamo vivendo una pandemia globale che porta con sé una crisi economica non come conseguenza indiretta ma come forma di tutela, in quanto il contagio avviene durante le normali funzioni quotidiane per via aerea, quindi l’unico modo per tutelarsi è chiudersi in casa. L’uomo è un animale sociale che ha costruito intorno a questo status e sullo scambio di culture e merci il proprio sistema economico e di vita, ad un tratto, per un tempo imprecisato, ha dovuto fermare e fermarsi, bloccando così il percorso evolutivo (forse accelerato) che aveva intrapreso da tempo e che forse è una delle cause scatenanti della pandemia. Fermare questa evoluzione significa che la strada intrapresa cambierà e il progresso seguirà un altro percorso più congeniale in funzione dei danni causati dalla pandemia o dalla modificazione sociale da essa dipendente, tipo il tempo di quarantena per ridurre il fattore di contagio. Ogni crisi, infatti, ha modificato l’essere umano e il suo modo di vivere e di lavorare ma soprattutto ha lasciato delle profonde, per quanto non sempre percettibili, ferite sociali che hanno cambiato l’assetto dell’intero Pianeta. La crisi del 2009 ha tolto indelebilmente potere d’acquisto alla classe borghese. La crisi del ‘94 (mani pulite) ha modificato quasi definitivamente le scale meritocratiche di certi settori. Di contro le pandemie agiscono su aspetti sociali il cui impatto economico è ridotto. L’AIDS ha modificato il modo di vivere la sessualità e la suina il modo di mangiare e trattare le carni. Non essendo un medico non posso neanche azzardare ipotesi sui tempi che ci vorranno per debellare questo virus, ma ipotizzando che ogni Paese impiega qualche mese per arrivare a contagio zero (Cina e Italia sono quelli più avanti nella gaussiana e quindi le ipotesi sono fatte solo su di loro) e ipotizzando che uno Stato che ha debellato il virus si deve chiudere agli altri Paesi per non avere una recidiva, non vedo la fine di questa quarantena di massa prima dell’inizio del prossimo anno. Se questo fosse vero vorrebbe dire che per circa un anno (poco più o poco meno) comunicheremo via device, non ci potremo toccare, non avremo ambienti dove fare socialità; insomma, abbrutiremo il nostro essere animale sociale. Per un anno (poco più o poco meno) la produttività sarà contratta, gli scambi di merci ridotti all’indispensabile e la Digital Transformation sarà un imperativo per tutte le aziende per potersi adeguare al nuovo modello di smart working. Ho sentito l’esigenza di fare queste riflessioni per dovere nei confronti delle circa cento persone che lavorano con noi in questa Azienda che mi onoro di dirigere, perché sento l’onere di governare al meglio questa barca in questa nebbia e ho l’obbligo morale di portarla fuori nei mari più pescosi pronti ad issare le vele e cogliere anche il più piccolo alito di vento. Riuscire a vedere oltre la nebbia non è facile e forse non è un dono di nessuno, viene però data a tutti la possibilità di ipotizzare rotte e mettere la prua verso la direzione che il nostro ragionamento ci porta a pensare essere giusta. Stare fermi non aiuta anche perché il resto del mondo si muove in modo schizofrenico con un’entropia elevatissima, che porterà alcuni soggetti a prendere la direzione giusta ed altri una diametralmente opposta. Avere una vision, preparare uomini e vele in coperta per quando la nebbia si diraderà darà un vantaggio che sfrutterà solo chi avrà visto la direzione giusta. Per fare questo bisogna avere degli uomini in coperta che hanno la giusta immaginazione e fantasia di potersi adattare a ruoli diversi da quelli di loro competenza. La duttilità, stando in mezzo al mare, porta ad occuparsi di issare la randa quando si è responsabili delle volanti o di raccogliere uno spinnaker dall’acqua quando si è responsabili delle drizze. Per ciò non basta essere versatili, bisogna essere anche preparati, conoscere la barca e il mare, sapere dove mettere i piedi e il momento giusto per cazzare una scotta, bisogna essere veloci e tempestivi per fare le cose nei giusti tempi, bisogna muoversi sulla coperta e sotto con leggerezza e precisione. In questi momenti ci saranno dei sacrifici da fare, ovviamente, da parte di tutti e tanto sforzo, ma per questo ci si unisce ancor di più in un obiettivo comune: uscire dalla nebbia e ripartire a vele spiegate. Il perdurare della zona di nebbia potrebbe portare a sconforti e malcontenti ma è proprio in questi casi che l’aiuto del collega è fondamentale così come il capitano che ricorda la rotta può essere un ulteriore aiuto. Quello che stiamo facendo in questo momento è cercare di rendere concrete queste riflessioni traducendo ogni parola in un processo aziendale o in una regola in modo da essere pronti a fronteggiare questa crisi e il suo incerto perdurare. Sette anni fa abbiamo costruito questa barca con principi simili, in quanto eravamo nel bel mezzo della crisi subprime e oggi, coscienti delle differenze con allora, la stiamo adattando e perfezionando avendo chiaro in mente questi tre principi che sono il faro che seguiremo: “Un’Azienda per uscire dalla nebbia e affrontare il mondo, dovrà essere Flexible, Agile and Skilled”. Flexible per adeguarsi ai cambiamenti repentini mantenendo sempre un punto di vista sulla rotta verso il futuro; Agile per muoversi velocemente su diversi mercati riuscendo a non appesantire un’offering incerto; Skilled perché nel futuro la produttività si ridurrà e ci sarà posto solo per le aziende leader di settore che regaleranno tranquillità ai propri clienti.